20 maggio 2010

Ecologisti a pagamento


Pagare i paesi perchè smettano di distruggere le loro foreste. È una delle idee presentate al vertice di Bali per frenare il riscaldamento climatico. Fred Pearce spiega i pro e i contro.

Fred Pearce, “New scientist”, Gran Bretagna. Internazionale n.739 a. 2008

Figlio di missionari statunitensi, Kevin Conrad è cresciuto in Papua Nuova Guinea. Ha passato l´infanzia “sparando agli uccelli, tagliando alberi e dando fuoco alle cose”. Anche se il suo nome non è molto conosciuto, a dicembre; durante la conferenza sul clima di Bali, Conrad ha ottenuto gli applausi della platea e l`attenzione delle televisioni di tutto il mondo sfidando apertamente gli Stati Uniti: in qualità di capó della delegazione di Papua Nuova Guinea ha dichiarato che se Washington non vuole assumersi la leadership internazionale della lotta ai cambiamenti climatici allora deve “togliersi di mezzo”.

Ma la storia di Conrad non si limita a quei quindici secondi di notorietà. Oltre ad essere un professore universitario e un banchiere, Conrad é anche il fondatore e il direttore della Coalition for rainforest nations. Questa organizzazione è riuscita, quasi da sola, a convincere la comunità internazionale che il sistema migliore per contrastare i cambiamenti climatici sia offrire consistenti incentivi economici ai paesi in via di sviluppo perchè smettano di distruggere le loro foreste pluviali. Conrad dirige la Coalition da un piccolo ufficio nella Columbia university, a New York.

Ma tutto è cominciato nel 2005, su una spiaggia in Papua Nuova Guinea: “Ero andato a passeggiare con il primo ministro papuano, Michael Somare, che viene dalla mia stessa città”, racconta. “Mi disse che bisognava assolutamente salvare le foreste, ma che il nostro reddito nazionale dipendeva troppo dalla deforestazione. Eravamo d’accordo che fosse necessaria una compensazione economica per salvare il patrimonio forestale. Così ci siamo organizzati insieme ad altri paesi che avevano la nostra idea – li avevamo chiamati Deforesters anonimous, i deforestatori anonimi – e abbiamo presentato le nostre posizioni ai negoziati sul clima”.

Satelliti monopolizzati

Nel 2007, a Bali, i delegati di più di cento paesi hanno stabilito di creare un sistema di compensazione per ridurre la deforestazione. L’obbiettivo è di firmare un accordo alla prossima conferenza sul clima di Copenaghen, nel 2009. Se andrà in porto, si ridurrà la fonte di emissioni di gas serra più importante dopo la combustione di carburanti. “A Bali abbiamo ottenuto più di quanto ci aspettavamo”, ha detto Conrad. Il piano è stato chiamato Reducing emissions from deforestation and degradation (ridurre le emissioni causate da deforestazione e degrado, Redd) ed è sostenuto dalle organizzazioni non governative ambientaliste, dagli scienziati forestali e perfino da una nuova schiera di “capitalisti del carbonio” decisi a guadagnarci.

Il successo dell’iniziativa è dovuto anche al fatto che ridurre la deforestazione è il modo più economico per per frenare le emissioni globali. Pagando circa dieci dollari a tonnallata di anidride carbonica (CO2)- il costo è più o meno la metadi quello necessario a sostituire il carbone con le energie rinnovabili.

Si tratta però di un piano radicale e i “buoni” non ci guadagnano niente. I soldi non vanno a chi cerca di preservare le foreste o di sfruttarle in modo sostenibile, ma servono piuttosto a convincere i “cattivi” che le stanno distruggendo a smettere di farlo.

Qualcuno troverà difficile accettare l’idea. Ma data la crescita dei livelli di CO2, la questione fondamentale è se il Redd può funzionare. Gli scienziati forestali possono misurare con precisione quanto carbonio contiene la giungla? E possono farlo restare lì dov’è facendo rispettare accordi di questo tipo? Oppure il piano incoraggerà la corruzione, finendo per accellerare i cambiamenti invece di rallentarli? Le foreste del mondo contengono il doppio di anidride carbonica rispetto all’atmosfera. Secondo la Fao, la distruzione del patrimonio forestale rilascia ogni anno nell’atmosfera 1,1 miliardi di tonnellate di CO2, più di un settimo delle emissioni totali prodotte dall’uomo.

Almeno queste sono le cifre ufficiali.

Secondo Alan Grainger dell’università di Leeds, le stime delle Nazioni Unite sono così imprecise che non è nemmeno chiaro se la superficie coperta degli alberi si stia effettivamente riducendo: “Non dico che non stia succedendo, ma solo che i dati non lo confermano”. I ministeri delle foreste incaricati della raccolta dei dati non sono all’altezza del compito e i metodi di misurazione cambiano spesso.

Quindi è difficile fare confronti.

Fortunatamente, però, il monopolio governativo sui dati forestali sta per finire grazie ai progressi fatti nel rilevamento satellitare, che finora si è basato sullo spettro visibile. Ciò significa che i satelliti possono rilevare solo degli scampoli di foreste pluviali attraverso le nuvole. Anche quando i cieli sono puliti, le immagini non riescono a mostrare i segni più isidiosi del degrado forestale causato dall’uomo e il conseguente rilascio di anidride carbonica. Invece i nuovi satelliti come Advanced land observation satellite (Alos), lanciato in orbita nel 2006, usano i radar per scrutare tra le nuvole e misurare i cambiamenti nella biomassa. “È l’inizio di una nuova era. Grazie all’Alos possiamo fare rilevamenti puliti tre volte l’anno’, “spiega Josef Kellndorfer del Woods hole research center di Falmouth, in Massachusetts.

Queste tecnologie, sostiene Grainger, potrebbereo essere sfruttate per creare un osservatorio mondiale delle foreste indipendente: “Un sistema scientificamente credibile può essere solo non governativo”. Ma i governi ne accetteranno le conclusioni? Non si sa, anche se i vantaggi sono tali che potrebbero decidere di farlo: l’Indonesia, uno dei paesi più favorevoli al Redd, potrebbe ricavare dal piano 3,75 milardi di dollari l’anno.

Un buon esempio

Molti tentativi di salvare le foreste sono già naufragati. Nel 1990, per esempio, i paesi industrializzati si accordarono con il Brasile per un pacchetto di 1,5 miliardi di dollari destinato al salvataggio della foresta amazzonica. Tra il 1990 e il 2004, però, il tasso di deforestazione è raddoppiato. L’unica eccezione è il Costa Rica. Il piccolo paese centroamericano ha raggiunto risultati straordinari grazie a un misto di cure tradizionali (creazione di parchi nazionali, divieti di deforestazione e piantagione di nuovi alberi) e incentivi economici simili a quelli previsti dal Redd. L’espansione del territorio forestale sta assorbendo una quantità tale di anidride carbonica che il Costa Rica potrebbe arrivare a zero emissioni entro il 2021. Sarebbe il primo paese al mondo a raggiungere questo traguardo.

Il successo del Costa Rica potrà ripetersi su scala globale grazie al Redd? Alcuni progetti pilota sono già in fase di lancio, ma i problemi non mancano. Uno dei più noti è quello del leakage ( o rilocalizzazione delle emissioni).

Per esempio: un paese annunciail lancio di un progetto Redd in una foresta devastata dal disboscamento o dall’allevamento del bestiame. Si raccolgono i fondi per la compensazione, si distribuiscono ai tagliatori di legna e agli allevatori e la foresta è salva. I tagliatori di legna e gli allevatori, però si spostano in una zona vicina e cominciano a seccheggiarla. In questo modo la distruzione della foresta non si ferma mai. Per evitare il leakage, dice Conrad; i paesi potranno ricevere i fondi solo se dimostrano che la distruzione della foresta non trasloca altrove. Perciò ogni paese dovrebbe misurare da sé il suo tasso nazionale di deforestazione e solo quelli in grado di portare la deforestazione sotto quel valore otterranno i finanziamenti. “La contabilità nazionale è fondamentale”, dice Conrad.

Gli scienziati forestali, però, sono scettici sulla possibilità di calcolare questi valori. Il tasso di deforestazione può variare molto di anno in anno, a seconda dello stato delle foreste, del prezzo dei prodotti e dei terreni, o di altri fattori come la corruzione e l’applicazione delle leggi. Nelle Filippine, per esempio, la deforestazione sta diminuendo perchè non ci sono più alberi da tagliare; nelle Repubblica Democratica del Congo, invece è cresciuta dopo la fine della guerra civile; e in Brasile è raddoppiata dal 1990 al 2004, poi è scesa di due terzi a meta2007 e adesso sta risalendo insieme alla crescita dei prezzi alimentari.

Probabilmente, allora, la scienza dovrà fare un passo indietro rispetto alla politica, soprattutto perchè l’adesione dei dei paesi al Redd sarà volontaria e gli aderenti potrebbero finire per calcolare da soli i loro valori di base. Se il sistema dovesse premiare i paesi con dei tassi di deforestazione in crescita, però, sarebbe subito screditato.

Molti sperano che il Redd possano almeno aiutare i poveri abitanti delle foreste pluviali che si preoccupano di proteggere il loro habitat, come accade in Costa Rica. Ma difficilmente il mercato del carbonio sarà così benevolo. Le tribù indigene dell’Amazzonia o dell’Africa centrale, che da generazioni vivono in armonia con le loro foreste, quasi certamente non riceveranno nulla: non hanno mai disboscato, quindi per cosa dovrebbero essere compensate?

E i piccoli agricoltori? Si discute molto dei danni provocati dai contadini che disboscano le foreste, coltivano le zone occupate per un paio d’anni e poi si spostano quando il terreno non è più fertile. Gran parte degli studi forestali incolpa gli agricoltori della distruzione di zone molto vaste, anche se gran parte del territorio disboscato si genera rapidamente. “I poveri di solito sono troppo poveri per fare danni”, afferma Frances Seymour, direttrice del Center for international forestry research, un istituto di ricerca finanziato della Banca mondiale e con sede in Indonesia. C’è il rischio che gli agricoltori vengano cacciati dalle loro terre da imprenditori che poi chiedono un indennizzo con la scusa di “proteggere” la foresta. Nel frattempo, alcuni dei disboscatori più importanti stanno studiando il modo di ottenere le compessazioni economiche. Nell’isola di Sumatra, le cartiere emettono grandi quantità di anidride carbonica attraverso il disboscamento e il prosciugamento delle torbiere in aree dove pianteranno nuovi alberi. Una di queste industrie, l’Asia Pacific Resources International (April), vorrebbe lanciare un progetto pilota Redd per bloccare i canali che causano il prosciugamento della palude di Kampar. April potrebbe ricevere decine di milioni di dollari all’anno d’indennizzo per la difesa della foresta e per il mancato rilascio di anidride carbonica. Il progetto non ha secondi fini e poggia su solide basi scientifiche. Ma oggi è realizzabile proprio per l’assenza di scrupoli dimostrata finora dall’azienda.

I grandi disboscatori ci guadagneranno anche a livello nazionale: mentre il Costa Rica non riceverà un centesimo, l’indonesia potrebbe incassare un bel po’ di soldi. E potrebbero rimetterci i paesi che stanno già riducendo la deforestazione prima che siano fissati i tetti massimi consentiti.

Entrate e uscite

Qualcuno dice che non è il caso di fare gli schizzinosi: ci saranno fallimenti e truffe, ma bisogna accogliere positivamente ogni riduzione del tasso di deforestazione. Se le compensazioni saranno pagate in contanti, allora il Redd potrebbe fare la differnza anche se un po’ di denaro finirà nelle tasche sbagliate. Un sistema di raccolta fondi, incoraggiato dalla Commissione europea, è quello degli aiuti intergovernativi, magari finanziati da una tassa sugli scambi di crediti tra i grandi inquinatori del mondo.

Gli aiuti di stato, però, sono limitati. Al loro posto i paesi ricchio di foreste chiedono compensazioni sotto forma di crediti di carbonio da poter rivendere ai paesi ricchi o alla aziende che ne hanno bisogno per rispettare gli obbiettivi sulle emissioni. Gli economisti sostengono che questo sistema è il più efficente dal punto di vista dei costi, perchè è la concorrenza a determinare il modo più economico di tenere l’anidride carbonica fuori dell’atmosfera.

Questo però darebbe un vantaggio ai paesi sviluppati, che invece di ridurre le loro emissioni industriali sceglierebbero sicuramente di prevenire la deforestazione. Ed è anche una strada rischiosa. Supponiamo che una centrale elettrica negli Stati Uniti o in Europa compensi le sue emissioni acquistando crediti di carbonio attraverso un progetto di deforestazione ai tropici. Se il progetto fallisce, si produrrà più anidride carbonica di quanta ne sarebbe stata rilasciata senza il piano Redd. Un altro rischio di collegare il Redd ai mercati internazionali del carbonio è che il valore dei crediti dipende dall’offerta. Più aree forestali vengono messe in lista d’attesa per essere preservate, più il mercato rischia di essere inondato di crediti. Si arriverebbe così a un crollo dei prezzi, e se il prezzo dei crediti scende, cala anche l’incentivo a ridurre le emissioni o a conservare le artee forestali. Le alternative non mancano. Una sarebbe di svincolare del tutto il Redd dai mercatio internazionali del carbonio. Un’altra potrebbe essere il drastico irrigidimento dei tetti delle emissioni nei paesi industrializzati in modo che la domanda di crediti cresca in proporzione all’offerta. Ma stando a quanto è successo a Bali, nulla fa pensare che i governi abbiano intenzione di seguire questa strada.

Tra l’altro, secondo molti analisti il Redd ha poche possibilità di riuscita a meno che non sia accompagnato da un giro di vite sulle cause economiche della deforestazione. “Dobbiamo affrontare le cause o il piano non funzionerà”, afferma Conrad, malgrado la sua preferenza per le soluzioni ottenute ottenute attraverso il libero mercato. “Adesso è questo l’obbiettivo principale”.

Seymour è d’accordo. “I finanziamenti Redd all’Indonesia, per esempio, dovrebbero servire a far chiudere le cartiere di Sumatra, o a far respingere le proposte di conversione delle foreste in piantagioni d’olio di palma”. Molti paesi in via di sviluppo, tuttavia, sperano ancora di ottenere i fondi del Redd senza ricadute sulle loro economie.

Interessi persolnali

E che succede in Papua Nuova Guinea, dove è nato il piano? Il paese è ancora ampiamente ricoperto di foreste, ma gran parte della terra è stata concessa in licenza ai disboscatori. Secondo la Banca mondiale circa il 70 per pento dell’attività di raccolta del legname in Papua Guinea è illegale. Le verifiche del governo rivelano che i politici sono complici e approfittano della situazione. “Isoldi del Redd entreranno da una parte e la corruzione li farà uscire dall’altra”, sostiene John Burton della Research school of Pacific and asian studies all’università australiana di Canberra.

Il governo di Papua Nuova Guinea ha già stretto un accordo con lòa banca Pacific Capital per gettare le basi dello scambio dei crediti. Conrad è stato accusato in parlamento di aver ricevuto del denaro per questa operazione. “Non ricavo nessun vantaggio personale da tutto questo”, si difende Conrad. “C’è una concessionaria straniera dei diritti di disboscamento a cui le mie idee non piacciono, e ha assoldato qualcuno per fare insinuazioni su di me”. Nonm sarebbe decoroso, per una persona nota a livello internazionale come Conrad, avere un interesse economico personale nella causa che persegue.

Ogniuno di noi, però, ha un’interesse personale nella stabilizzazione del clima.

E, oggi, questo obbiettivo è raggiungibile solo se c’è qualcosa da guadagnare.

Nessun commento:

Posta un commento