25 febbraio 2011

Gli eucalipti del Monte Elgon

Prima che partisse per l'Uganda con Andrea per girare un documentario, Alessandro (regista fondatore di LibLab) mi ha raccontato la realtà in cui di lì a poco si sarebbe immerso. Mi ha parlato dei pastori, degli accordi di Kyoto, delle guardie forestali armate, di una guerra tra poveri, di morti. E di eucalipti. Prima di allora non avevo mai pensato che piantare alberi potesse essere sbagliato. Si dà il caso che sia cresciuta nella convinzione che per salvaguardare il pianeta ognuno debba fare la sua parte, magari anche qualche piccolo sacrificio.

Poi ho saputo di quelle persone, cacciate più di quindici anni fa da quella che diventa una foresta sempre più grande, ma che considerano ancora la loro casa. Sul Monte Elgon sono nati, cresciuti e morti i loro padri e nonostante le violenze, le umiliazioni, si battono perchè i loro diritti vengano riconosciuti. I Benet gli alberi non li proteggono. Li bruciano.

Ho relativizzato il mio concetto di ambientalismo. Ho visto l'amara ironia, il paradosso della contrapposizione di due sistemi di vita. Da un lato ci siamo noi, gli occidentali. Nella seconda metà del XVIII secolo abbiamo innescato il processo di distruzione del pianeta, la cui velocità è stata direttamente proporzionale allo sviluppo tecnologico. I movimenti ambientalisti sono nati quando già impazzava la discomusic, ma solo a partire dagli anni Novanta le prime effettive misure internazionali per cercare di rimediare al danno. Dall'altra parte i cosiddetti paesi del Terzo Mondo e in particolare la cultura africana, delicato equilibrio tra uomo e natura che si perde nella notte dei tempi. Ma che in certi casi cede, qualche volta proprio per colpa delle regole imposte dall'umanità "ricca", usate da alcuni per trarne profitti.

Ed è così che i responsabili dei maggiori danni ambientali proteggono la natura da chi l'ha sempre difesa e che ora appicca il fuoco alla foresta. Gli eucalipti prendono il posto degli esseri umani, sradicati dalla loro terra e gettati da parte come erbacce da un sentiero. Pensavo che piantare alberi fosse una cosa giusta a prescindere. Ora non ne sono più tanto sicura.

21 febbraio 2011

L'altra faccia dell'ecologia

La nostra è l'epoca dei contrasti. E della sensibilità ambientale. Il senso di colpa per i danni inflitti a Madre Terra ci imporrebbe di chiudere l'acqua mentre ci si insapona, sotto la doccia. Multe per chi non rispetta la raccolta differenziata, certo. Pannelli solari. Hai un suv? Sei pazzo, hai idea di quanto consumi? Per non parlare delle emissioni nocive. Proprio non ci siamo, l'ideale sarebbe un ibrido, una fantomatica auto elettrica. Non dimenticare di spegnere la luce quando ti sposti da una stanza all'altra; butta quel rottame che ti ostini a chiamare lavatrice, e comprane una che appartenga alla classe A. Lascia l'auto a casa la mattina, e se proprio non vuoi prendere il tram, almeno comprati una macchina nuova. Rispetti l'ambiente e non paghi l'ecopas per entrare nella cerchia dei bastioni. Se non lo fai, nella migliore delle ipotesi sei fuori moda, nella peggiore sei un poveraccio che gira su una panda del '95.

E se sei una grossa società che avvelena l'aria e non solo con scorie e anidride carbonica? Che cosa puoi fare? Pianta alberi. Fallo nel terzo mondo, costa meno. Continua a fare quello che fai, puoi compensare dando il via a un piano di riforestazione. Oppure assumi qualcuno per farlo. Soldi in cambio di un credito di emissione, il cosiddetto CER (Certified Emission Reductions). Fallo altrove come in Uganda. Crea un parco nazionale dove piantare eucalipti. Anche a discapito di chi su quella terra, il monte Elgon, ci vive da sempre.

La nostra è una realtà complicata. C'è chi pianta alberi credendo che il suo gesto possa veramente fare la differenza. Come Rubens Matuck. C'è chi ci crede. C'è chi ci specula sopra ai danni di chi difficilmente ha i mezzi per difendersi. E poi c'è chi tutto questo lo racconta...

16 febbraio 2011