24 maggio 2010

Foresta d'asfalto


Nella regione amazzonica del Brasile le strade abusive sono più del doppio di quelle ufficiali. Vengono aperte sui terreni dello stato e accellerano la deforestazione.

Luciana Vicària, “Época”, Brasile, pubblicato in “Internazionale” n.686, a. 2007



Un gruppo di ricercatori brasiliani ha tracciato la prima mappa di una rete stradale fantasma che non compare in nessun documento ufficiale del paese. La cartina indica tutte le strade abusive che attraversano l'Amazzonia. Lo studio è stato realizzato dall'Istituto per l'uomo e l'ambiente in Amazzonia (Imazzon), uno dei principali centri di ricerca della regione. I risultati ottenuti rivelano l'esistenza di una rete di strade illegali due volte e mezzo più estesa di quella riconosciuta dalle autorità e fatto ancora più grave, ricavata in gran parte sui terreni dello stato. Le piste clandestine favoriscono la distruzione della foresta e l'appropriazione indebita delle sue risorse naturali, prima tra tutte il legname.
Attraverso le immagini satellitari, i ricercatori hanno individuato la presenza di un reticolato di 173.023 chilometri di strade abusive lungo i margini della foresta amazzonica. A queste bisogna aggiungere le tante diramazioni illegali lungo la strada Transamazzonica e la Br-163 che collega Cuiabà a Santarèm. Lo studio mostra inoltre che il 90 per cento della rete stradale fantasma in
Amazzonia si concentra negli stati del Mato Grosso, del Parà e di Rondônia. Il suo ritmo di crescita è impressionante: secondo alcune stime, aumenta ogni anno di 1.890 chilometri.
Le vie clandestinein terra battuta arrivano dentro le riserve ecologiche e aree indigene che fino a poco tempo fa sembravano impossibili da raggiungere. Una di queste è la Terra indegena di Baù, nel municipio di Altamira, che si trova nello stato del Parà. Negli ultimi dieci anni le imprese di legname si sono spinte sempre più all'interno della riserva per procurarsi gli alberi di mogano. La rete stradale clandestina ha avuto un impatto così forte sul territorio che nel 2003 le autorità hanno deciso di ridurre del 17 per cento l'area della riserva.
Invece la Riserva ecologica della Terra di mezzo, sono sempre nel municipio di Altamira, deve fare i conti con i grileiros, i proprietari terrieri che occupano illegalmente la foresta. Si aprono un cammino verso l'interno, dove appendono cartelli con nomi di fazendas fittizie che più tardi metteranno in vendita. Le strade abusive non hanno risparmiato neanche le aree militari, come quella di Caximbo nel sud del Parà.
In genere le strade portano l'energia elettrica nei centri abitati e il progresso, soprattutto in Brasile, dove il 56 per cento del trasporto commerciale avviene via terra. Permettono inoltre di raggiungere più faciolmente le scuole e gli ospedali. In Amazzonia, invece, provocano solo danni irreparabili all'ambiente. “Nessuno apre una strada in mezzo alla foresta perchè vuole andare a contemplare la natura”, spiega il geografo Carlos Souza jr, coordinatore dell'Imazon.
All'inizioun'impresa di legname apre una strada che parte da un'altra esistente. Grazie ai trattori, nel giro di un mese è possibile penetrare dieci chilometri all'interno della foresta. In uno o due anni vengono abbattuti tutti gli alberi più pregiati che ci sono nei paraggi. Una volta che il cammino è stato aperto, entra in scena il grileiro: prende possesso delle aree raggiunte dalla strada, le divide in lotti e prepare dei certificati di proprietà falsi. Poi vende le terre a un agricoltore, che sfrutta il terreno più che può dannaggiando irrimediabilmente l'ecosistema con le queimadas ( incendi per la rifertilizzazione del suolo). Dopo due o tre raccolti, l'agricoltore vende la proprietà a un allevatore e si sposta in un'altra terra vergine da coltivare. Il destino finale del lotto è il pascolo.

Correre il rischio
In Amazzonia distruggere la foresta (di proprietà dello stato) per occupare il territorio è un ottimo affare e il rischio di essere puniti è minimo. Quando l'Istituto brasiliano dell'ambiente e delle risorse naturali rinnovabili (Ibama) o altre organizzazioni ecologiste sono informati di un crimine ambientale, denunciano subito i responsabili. Ma prima che riescano ad ottenere il pagamento della penale a volte passano anche quattro anni. Durante questo periodo di tempo i criminali continuano a devastare la foresta, perchè i guadagni compensano il rischio di essere condannati.
Anche chi è stato costretto a pagare una penale (questo succede solo per il 12 per cento delle denunce) difficilmente sarà costretto ad abbandonare le terre occupate e a portare via il suo bestiame da un'altra parte. “Lavoro qui da otto anni e non ho mai visto nessuno restituire un terreno occupato illegalmente”, afferma Daniel Cohenca, ispettore dell'Ibama a Santarém..
La lotta per le terre occupate alimenta la violenza nella regione. Una mappa della criminalità nei municipi brasiliani diffusa di recente mostra che cinque delle dieci città con il più alto numero di omicidi si trovano nella regione amazzonica. Al primo posto c'è Colniza, nel Mato Grosso, con un indice di 165,3 morti all'anno per centomila abitanti. Secondo la commissione pastorale della terra, negli ultimi trent'anni in Amazzonia duemilapersone sono morte a causa dei conflitti fondiari.
Le strade abusive inoltre distruggono la natura. L'80 per cento del processo di deforestazione avviene entro un raggio di cinque chilometri dalle vie aperte illegalmente. I danni all'ambiente non copntribuiscono certo a migliorare la vita delle persone. L'istituto brasiliano di geografia e statistica rivela che su dieci milioni di persone che abitano nella foresta, il 70 per cento vive al disotto della soglia minima di povertà. Come Socorro e Ruimar da Cunha, che vivono in una capanna a 130 chilometri dalla città di Santarém, lungo una strada abusiva che si allaccia all'autostrada Br-163.
Socorro e Ruimar si sono conosciuti quindici anni fa. Ruimar è arrivato da Santarém insieme ai genitori, attirato dall'apertura della nuova strada. Anche Socorro è arrivata seguendo la famiglia alla ricerca di una terra da coltivare. Dopo il matrimonio hanno avuto quattro figli. Nel 2005, dopo che il bambino di sette anni è morto di polmonite, hanno deciso di andarsene. “Pioveva molto. Ci è voluto un giorno intero di viaggio per comprare le medicine e portare il piccolo dal medico”, racconta Socorro. Fernando è morto durante il tragitto. Oggi la famiglia vive barattando una parte del raccolto in cambio di combustibile, sapone e vestiti. Tra qualche giorno Socorro e Ruimar dovranno lasciare la capanna di legno in cui abitano.
Nonostante una denuncia da parte dell'Istituto nazionale per la colonizzazione e la riforma agraria, il padre di Socorro si ritiene ancora il legittimo proprietario del terreno, tanto che ha venduto il lotto a un altro agricoltore. “ Il nuovo proprietario può mandarci via da un momento all'altro”, spiega Ruimar che sta pensando di trasferirsi in una nuova strada.
Anche Natalino Lima abita in una delle tante piste clandestine che si allacciano alla Br-163. Per sopravvivere coltiva riso, fagioli e verdura. “Sono venuto fin qui per dissodare la terra del mio padrone. Per me l'unica cosa importante è che paghi bene”, spiega. Guadagna 450 reais (165 euro) al mese lavorando come custode della proprietà e ha già abbattuto tutti gli alberi che c'erano all'interno del lotto, grande come dieci campi da calcio. Il terreno sarà destinatoalla coltivazione del riso e della soia.
Natalino vive all'interno della proprietà con la moglie e il figlio in una casa di legno senza luce, e non ha idea di cosa gli riserverà il futuro. “ Qui le persone vivono alla giornata” spiega. Natalino si è già preso cura di tre lotti che si trovano lungo due diverse piste clandestine. “Prendersi cura” della terra per lui significa distruggere la foresta.
Del resto è difficile che queste persone si rendano conto di alimentare, con il loro comportamento, un sistema illegale. I m otivi sono due: innanzitutto Perchè in Amazzonia la clandestinità rappresenta la regola, in secondo luogo perchè esiste un'enorme zona grigia tra ciò che è legale e ciò che non lo è.

Economia legale
Nei primi dieci chilometri della strada che si allaccia al chilometro 101 della Br-163 arriva l'energia elettrica. Eppure si tratta di una pista abusiva che non compare in nessuna cartina ufficiale. Le persone che abitano nella zona hanno costruito una scuola e le istituzioni locali hanno mandato gli insegnanti. Il comune di Santarém, invace, è incaricato della manutenzione della strada. C'è poi un pulmino privato che ogni giorno percorre i cinquanta chilometri della pista per offrire alla popolazione un collegamento con i centri abitati più vicini. Effettua solo una corsa di andata e una ritorno, ma è in grande aiuto a tutti quelli che altrimenti dovrebbero spostarsi a piedi.
Alcune strade abusive sono state persino privatizzate. In quelle aperte più di recente, che hanno ancora pochi residenti, i fazendeiros (proprietari terrieri) pretendono un pedaggio. Chi vuole passare e avventurarsi all'interno della foresta deve identificarsi e pagare una tassa.
La mappa di questa rete stradale parallela è un documento prezioso. Per la prima volta le autorità hanno le coordinate precise di tutte le piste clandestine. “Questo significa avere anche l'indirizzodel grileiro, dell'azienda di legname che opera illegalmente e dell'agricoltore che coltiva una terra che non è sua”, spiega Carlos Souza.
Resta solo capire se le autorità sapranno usare in modo intelligente le informazioni. Ma nel frattempo cosa si può fare per interrompere la distruzione della foresta? L'aumento costante delle strade abisive dimostra che è inutile continuare a proteggere l'Amazzonia come se fosse un territorio incontaminato. Fino a oggi il governo ha cercato di risolvere il problema creando delle aree protette. Una strategia del genere, però, non riesce a tamponare i disastri provocati dalla deforestazione in corso. Chi sta aprendo un pista clandestina può proseguire indisturbato. Una soluzione alternativa potrebbe offrirla la legge per le concessioni forestali approvata dal geoverno nel 2006. L'obbietivo del provvedimento è permettere alle imprese del legname di ottenere delle concessioni per sfruttare in modo duraturo le foreste pubbliche.
“Finalmente il governo ha capito che l'unico modo per mantenere in vita la foresta è creando un'economia legale”, spiega Paulo Adàrio, coordinatore di Greenpeace Amazzonia.
Non resta che dare le prime concessioni. Speriamo che sia la strada giusta da percorrere.

23 maggio 2010

As árvores da pracinha Rodésia





Começa agora a floresta cifrada.
A sombra escondeu as árvores .
Sapos beiçudos espiam no escuro.

Aqui um pedaço de mato esta de castigo.
Arvorezinhas acocoram-se no charco.
Um fio de agua atrasada lambe a lama.

Raul Bopp - fragmento de "Cobra Norato"

22 maggio 2010

Guerrilha nos canteiros

Homens e mulheres que cultivam o verde em áreas degradadas das cidades italianas. O grupo Guerrilla Gardening nasceu em Milão, formado por jovens que decidiram tentar recuperar espaços urbanos com "ataques verdes". Um dia você acorda - porque os guerrilheiros agem sempre à noite - e aquele canteiro seco e cheio de lixo do lado de sua casa está verde e florido.

No dia 7 de março, o grupo fez uma intervenção em uma área próxima ao estádio San Siro de Milão. Além da jardinagem, eles queriam promover uma ação simbólica de apoio a todas as mulheres do mundo que não tem acesso à terra somente pelo fato de serem mulheres.

20 maggio 2010

Ecologisti a pagamento


Pagare i paesi perchè smettano di distruggere le loro foreste. È una delle idee presentate al vertice di Bali per frenare il riscaldamento climatico. Fred Pearce spiega i pro e i contro.

Fred Pearce, “New scientist”, Gran Bretagna. Internazionale n.739 a. 2008

Figlio di missionari statunitensi, Kevin Conrad è cresciuto in Papua Nuova Guinea. Ha passato l´infanzia “sparando agli uccelli, tagliando alberi e dando fuoco alle cose”. Anche se il suo nome non è molto conosciuto, a dicembre; durante la conferenza sul clima di Bali, Conrad ha ottenuto gli applausi della platea e l`attenzione delle televisioni di tutto il mondo sfidando apertamente gli Stati Uniti: in qualità di capó della delegazione di Papua Nuova Guinea ha dichiarato che se Washington non vuole assumersi la leadership internazionale della lotta ai cambiamenti climatici allora deve “togliersi di mezzo”.

Ma la storia di Conrad non si limita a quei quindici secondi di notorietà. Oltre ad essere un professore universitario e un banchiere, Conrad é anche il fondatore e il direttore della Coalition for rainforest nations. Questa organizzazione è riuscita, quasi da sola, a convincere la comunità internazionale che il sistema migliore per contrastare i cambiamenti climatici sia offrire consistenti incentivi economici ai paesi in via di sviluppo perchè smettano di distruggere le loro foreste pluviali. Conrad dirige la Coalition da un piccolo ufficio nella Columbia university, a New York.

Ma tutto è cominciato nel 2005, su una spiaggia in Papua Nuova Guinea: “Ero andato a passeggiare con il primo ministro papuano, Michael Somare, che viene dalla mia stessa città”, racconta. “Mi disse che bisognava assolutamente salvare le foreste, ma che il nostro reddito nazionale dipendeva troppo dalla deforestazione. Eravamo d’accordo che fosse necessaria una compensazione economica per salvare il patrimonio forestale. Così ci siamo organizzati insieme ad altri paesi che avevano la nostra idea – li avevamo chiamati Deforesters anonimous, i deforestatori anonimi – e abbiamo presentato le nostre posizioni ai negoziati sul clima”.

Satelliti monopolizzati

Nel 2007, a Bali, i delegati di più di cento paesi hanno stabilito di creare un sistema di compensazione per ridurre la deforestazione. L’obbiettivo è di firmare un accordo alla prossima conferenza sul clima di Copenaghen, nel 2009. Se andrà in porto, si ridurrà la fonte di emissioni di gas serra più importante dopo la combustione di carburanti. “A Bali abbiamo ottenuto più di quanto ci aspettavamo”, ha detto Conrad. Il piano è stato chiamato Reducing emissions from deforestation and degradation (ridurre le emissioni causate da deforestazione e degrado, Redd) ed è sostenuto dalle organizzazioni non governative ambientaliste, dagli scienziati forestali e perfino da una nuova schiera di “capitalisti del carbonio” decisi a guadagnarci.

Il successo dell’iniziativa è dovuto anche al fatto che ridurre la deforestazione è il modo più economico per per frenare le emissioni globali. Pagando circa dieci dollari a tonnallata di anidride carbonica (CO2)- il costo è più o meno la metadi quello necessario a sostituire il carbone con le energie rinnovabili.

Si tratta però di un piano radicale e i “buoni” non ci guadagnano niente. I soldi non vanno a chi cerca di preservare le foreste o di sfruttarle in modo sostenibile, ma servono piuttosto a convincere i “cattivi” che le stanno distruggendo a smettere di farlo.

Qualcuno troverà difficile accettare l’idea. Ma data la crescita dei livelli di CO2, la questione fondamentale è se il Redd può funzionare. Gli scienziati forestali possono misurare con precisione quanto carbonio contiene la giungla? E possono farlo restare lì dov’è facendo rispettare accordi di questo tipo? Oppure il piano incoraggerà la corruzione, finendo per accellerare i cambiamenti invece di rallentarli? Le foreste del mondo contengono il doppio di anidride carbonica rispetto all’atmosfera. Secondo la Fao, la distruzione del patrimonio forestale rilascia ogni anno nell’atmosfera 1,1 miliardi di tonnellate di CO2, più di un settimo delle emissioni totali prodotte dall’uomo.

Almeno queste sono le cifre ufficiali.

Secondo Alan Grainger dell’università di Leeds, le stime delle Nazioni Unite sono così imprecise che non è nemmeno chiaro se la superficie coperta degli alberi si stia effettivamente riducendo: “Non dico che non stia succedendo, ma solo che i dati non lo confermano”. I ministeri delle foreste incaricati della raccolta dei dati non sono all’altezza del compito e i metodi di misurazione cambiano spesso.

Quindi è difficile fare confronti.

Fortunatamente, però, il monopolio governativo sui dati forestali sta per finire grazie ai progressi fatti nel rilevamento satellitare, che finora si è basato sullo spettro visibile. Ciò significa che i satelliti possono rilevare solo degli scampoli di foreste pluviali attraverso le nuvole. Anche quando i cieli sono puliti, le immagini non riescono a mostrare i segni più isidiosi del degrado forestale causato dall’uomo e il conseguente rilascio di anidride carbonica. Invece i nuovi satelliti come Advanced land observation satellite (Alos), lanciato in orbita nel 2006, usano i radar per scrutare tra le nuvole e misurare i cambiamenti nella biomassa. “È l’inizio di una nuova era. Grazie all’Alos possiamo fare rilevamenti puliti tre volte l’anno’, “spiega Josef Kellndorfer del Woods hole research center di Falmouth, in Massachusetts.

Queste tecnologie, sostiene Grainger, potrebbereo essere sfruttate per creare un osservatorio mondiale delle foreste indipendente: “Un sistema scientificamente credibile può essere solo non governativo”. Ma i governi ne accetteranno le conclusioni? Non si sa, anche se i vantaggi sono tali che potrebbero decidere di farlo: l’Indonesia, uno dei paesi più favorevoli al Redd, potrebbe ricavare dal piano 3,75 milardi di dollari l’anno.

Un buon esempio

Molti tentativi di salvare le foreste sono già naufragati. Nel 1990, per esempio, i paesi industrializzati si accordarono con il Brasile per un pacchetto di 1,5 miliardi di dollari destinato al salvataggio della foresta amazzonica. Tra il 1990 e il 2004, però, il tasso di deforestazione è raddoppiato. L’unica eccezione è il Costa Rica. Il piccolo paese centroamericano ha raggiunto risultati straordinari grazie a un misto di cure tradizionali (creazione di parchi nazionali, divieti di deforestazione e piantagione di nuovi alberi) e incentivi economici simili a quelli previsti dal Redd. L’espansione del territorio forestale sta assorbendo una quantità tale di anidride carbonica che il Costa Rica potrebbe arrivare a zero emissioni entro il 2021. Sarebbe il primo paese al mondo a raggiungere questo traguardo.

Il successo del Costa Rica potrà ripetersi su scala globale grazie al Redd? Alcuni progetti pilota sono già in fase di lancio, ma i problemi non mancano. Uno dei più noti è quello del leakage ( o rilocalizzazione delle emissioni).

Per esempio: un paese annunciail lancio di un progetto Redd in una foresta devastata dal disboscamento o dall’allevamento del bestiame. Si raccolgono i fondi per la compensazione, si distribuiscono ai tagliatori di legna e agli allevatori e la foresta è salva. I tagliatori di legna e gli allevatori, però si spostano in una zona vicina e cominciano a seccheggiarla. In questo modo la distruzione della foresta non si ferma mai. Per evitare il leakage, dice Conrad; i paesi potranno ricevere i fondi solo se dimostrano che la distruzione della foresta non trasloca altrove. Perciò ogni paese dovrebbe misurare da sé il suo tasso nazionale di deforestazione e solo quelli in grado di portare la deforestazione sotto quel valore otterranno i finanziamenti. “La contabilità nazionale è fondamentale”, dice Conrad.

Gli scienziati forestali, però, sono scettici sulla possibilità di calcolare questi valori. Il tasso di deforestazione può variare molto di anno in anno, a seconda dello stato delle foreste, del prezzo dei prodotti e dei terreni, o di altri fattori come la corruzione e l’applicazione delle leggi. Nelle Filippine, per esempio, la deforestazione sta diminuendo perchè non ci sono più alberi da tagliare; nelle Repubblica Democratica del Congo, invece è cresciuta dopo la fine della guerra civile; e in Brasile è raddoppiata dal 1990 al 2004, poi è scesa di due terzi a meta2007 e adesso sta risalendo insieme alla crescita dei prezzi alimentari.

Probabilmente, allora, la scienza dovrà fare un passo indietro rispetto alla politica, soprattutto perchè l’adesione dei dei paesi al Redd sarà volontaria e gli aderenti potrebbero finire per calcolare da soli i loro valori di base. Se il sistema dovesse premiare i paesi con dei tassi di deforestazione in crescita, però, sarebbe subito screditato.

Molti sperano che il Redd possano almeno aiutare i poveri abitanti delle foreste pluviali che si preoccupano di proteggere il loro habitat, come accade in Costa Rica. Ma difficilmente il mercato del carbonio sarà così benevolo. Le tribù indigene dell’Amazzonia o dell’Africa centrale, che da generazioni vivono in armonia con le loro foreste, quasi certamente non riceveranno nulla: non hanno mai disboscato, quindi per cosa dovrebbero essere compensate?

E i piccoli agricoltori? Si discute molto dei danni provocati dai contadini che disboscano le foreste, coltivano le zone occupate per un paio d’anni e poi si spostano quando il terreno non è più fertile. Gran parte degli studi forestali incolpa gli agricoltori della distruzione di zone molto vaste, anche se gran parte del territorio disboscato si genera rapidamente. “I poveri di solito sono troppo poveri per fare danni”, afferma Frances Seymour, direttrice del Center for international forestry research, un istituto di ricerca finanziato della Banca mondiale e con sede in Indonesia. C’è il rischio che gli agricoltori vengano cacciati dalle loro terre da imprenditori che poi chiedono un indennizzo con la scusa di “proteggere” la foresta. Nel frattempo, alcuni dei disboscatori più importanti stanno studiando il modo di ottenere le compessazioni economiche. Nell’isola di Sumatra, le cartiere emettono grandi quantità di anidride carbonica attraverso il disboscamento e il prosciugamento delle torbiere in aree dove pianteranno nuovi alberi. Una di queste industrie, l’Asia Pacific Resources International (April), vorrebbe lanciare un progetto pilota Redd per bloccare i canali che causano il prosciugamento della palude di Kampar. April potrebbe ricevere decine di milioni di dollari all’anno d’indennizzo per la difesa della foresta e per il mancato rilascio di anidride carbonica. Il progetto non ha secondi fini e poggia su solide basi scientifiche. Ma oggi è realizzabile proprio per l’assenza di scrupoli dimostrata finora dall’azienda.

I grandi disboscatori ci guadagneranno anche a livello nazionale: mentre il Costa Rica non riceverà un centesimo, l’indonesia potrebbe incassare un bel po’ di soldi. E potrebbero rimetterci i paesi che stanno già riducendo la deforestazione prima che siano fissati i tetti massimi consentiti.

Entrate e uscite

Qualcuno dice che non è il caso di fare gli schizzinosi: ci saranno fallimenti e truffe, ma bisogna accogliere positivamente ogni riduzione del tasso di deforestazione. Se le compensazioni saranno pagate in contanti, allora il Redd potrebbe fare la differnza anche se un po’ di denaro finirà nelle tasche sbagliate. Un sistema di raccolta fondi, incoraggiato dalla Commissione europea, è quello degli aiuti intergovernativi, magari finanziati da una tassa sugli scambi di crediti tra i grandi inquinatori del mondo.

Gli aiuti di stato, però, sono limitati. Al loro posto i paesi ricchio di foreste chiedono compensazioni sotto forma di crediti di carbonio da poter rivendere ai paesi ricchi o alla aziende che ne hanno bisogno per rispettare gli obbiettivi sulle emissioni. Gli economisti sostengono che questo sistema è il più efficente dal punto di vista dei costi, perchè è la concorrenza a determinare il modo più economico di tenere l’anidride carbonica fuori dell’atmosfera.

Questo però darebbe un vantaggio ai paesi sviluppati, che invece di ridurre le loro emissioni industriali sceglierebbero sicuramente di prevenire la deforestazione. Ed è anche una strada rischiosa. Supponiamo che una centrale elettrica negli Stati Uniti o in Europa compensi le sue emissioni acquistando crediti di carbonio attraverso un progetto di deforestazione ai tropici. Se il progetto fallisce, si produrrà più anidride carbonica di quanta ne sarebbe stata rilasciata senza il piano Redd. Un altro rischio di collegare il Redd ai mercati internazionali del carbonio è che il valore dei crediti dipende dall’offerta. Più aree forestali vengono messe in lista d’attesa per essere preservate, più il mercato rischia di essere inondato di crediti. Si arriverebbe così a un crollo dei prezzi, e se il prezzo dei crediti scende, cala anche l’incentivo a ridurre le emissioni o a conservare le artee forestali. Le alternative non mancano. Una sarebbe di svincolare del tutto il Redd dai mercatio internazionali del carbonio. Un’altra potrebbe essere il drastico irrigidimento dei tetti delle emissioni nei paesi industrializzati in modo che la domanda di crediti cresca in proporzione all’offerta. Ma stando a quanto è successo a Bali, nulla fa pensare che i governi abbiano intenzione di seguire questa strada.

Tra l’altro, secondo molti analisti il Redd ha poche possibilità di riuscita a meno che non sia accompagnato da un giro di vite sulle cause economiche della deforestazione. “Dobbiamo affrontare le cause o il piano non funzionerà”, afferma Conrad, malgrado la sua preferenza per le soluzioni ottenute ottenute attraverso il libero mercato. “Adesso è questo l’obbiettivo principale”.

Seymour è d’accordo. “I finanziamenti Redd all’Indonesia, per esempio, dovrebbero servire a far chiudere le cartiere di Sumatra, o a far respingere le proposte di conversione delle foreste in piantagioni d’olio di palma”. Molti paesi in via di sviluppo, tuttavia, sperano ancora di ottenere i fondi del Redd senza ricadute sulle loro economie.

Interessi persolnali

E che succede in Papua Nuova Guinea, dove è nato il piano? Il paese è ancora ampiamente ricoperto di foreste, ma gran parte della terra è stata concessa in licenza ai disboscatori. Secondo la Banca mondiale circa il 70 per pento dell’attività di raccolta del legname in Papua Guinea è illegale. Le verifiche del governo rivelano che i politici sono complici e approfittano della situazione. “Isoldi del Redd entreranno da una parte e la corruzione li farà uscire dall’altra”, sostiene John Burton della Research school of Pacific and asian studies all’università australiana di Canberra.

Il governo di Papua Nuova Guinea ha già stretto un accordo con lòa banca Pacific Capital per gettare le basi dello scambio dei crediti. Conrad è stato accusato in parlamento di aver ricevuto del denaro per questa operazione. “Non ricavo nessun vantaggio personale da tutto questo”, si difende Conrad. “C’è una concessionaria straniera dei diritti di disboscamento a cui le mie idee non piacciono, e ha assoldato qualcuno per fare insinuazioni su di me”. Nonm sarebbe decoroso, per una persona nota a livello internazionale come Conrad, avere un interesse economico personale nella causa che persegue.

Ogniuno di noi, però, ha un’interesse personale nella stabilizzazione del clima.

E, oggi, questo obbiettivo è raggiungibile solo se c’è qualcosa da guadagnare.

19 maggio 2010

Il coleottero poco ecologico


Un piccolo parassita dei pini sta distruggendo chilometri di foreste canadesi. Trasformandole in immense fonti di anidride carbonica invece che di ossigeno.

Margaret Munro, "The Vancouver Sun", Canada. Pubblicato su "Internazionale" n°746, a. 2008


Un piccolo parassita sta trasformando le pinete canadesi della Columbia Britannica in un immensa fonte di gas serra. Una ricerca del Canadian forest service, pubblicata sulla rivista Nature, spiega che quando quest'invasione senza precedenti finirà, i coleotteri avranno ucciso tanti di quegli alberi che nell'atmasfera ci sarà quasi un milardo di tonnellate di anidride carbonica in più. Una quantità cinque volte superiore alle emissioni annuali di tutte le auto, i camion, i treni e gli aerei che circolano in Canada, sostiene Werner Kurz, principale autore dello studio. E l'impatto dell'insetto, avverte il ricercatore, va ben oltre i confini dello stato.
Insieme a oceani e praterie, le foreste sono vitali per l'assorbimento dell'anidride carbonica, che è uno dei principali gas a effetto serra. "Questo patrimonio naturale non contribuisce più al suo assorbimento", spiega Kurz. "Al contrario, ne diventa una fonte", perchè quando gli aberi marciscono e bruciano, sprigionano carbonio. Secondo Kurz e i suoi colleghi del "Pacific forestry center", l'invasione del piccolo coleottero (Dendroctonus ponderosae) nella Culumbia Britannica ha "un'estensione e una gravità senza precedenti". Alla fine del 2006 erano stati attaccati 130 mila chilometri quadrati di foresta. I ricercatori prevedono che, quando l'invasione sarà finita, saranno state liberate nell'atmasfera 990 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari a 270 milioni di tonnellate di carbonio. I dati comprendono sia la quantità del carbonio che gli alberi morti non assorbono più sia quella sprigionata mentre si decompongono. Nei prossimi anni "l'insetto avrà raso tutto al suolo", afferma Kurz, e solo allora la foresta comincerà a riprendersi, almeno nella Columbia Britannica.
Il coleottero scolitide si sta già spostando verso dei pascoli più verdi. Ha superato le montagne Rocciose ed è entrato nella foresta dell'Alberta occidentale, dove sembra essere stato fermato dal vento freddo delle praterie. In futuro, però, le condizioni climatiche più favorevoli potrebbero permettere all'insetto di arrivare all'immensa foresta boreale del Canada settentrionale, uno dei più importanti serbatoi di carbonio del pianeta. Lo studio pubblicato su "Nature" analizza l'invasione della Columbia Britannica negli anni novanta. Ci sono molti fattori che hanno contribuito a preparare il "buffet" per i famelici insetti, come lo chiama Kurz. Alla fine dell'ottocento e all'inizio del novecento alcuni grandi incendi si sono propagati nelle province occidentali lasciando spazio allo sviluppo delle pinete. I successivi programmi di prevenzione sono stati talmente efficaci da pemettere alle foreste di crescere senza grandi problemi. "Quasi un secolo di misure antincendio ha permesso alla foresta di invecchiare e di allargarsi", spiega Kurz e aggiunge che anche la riduzione della deforestazione ha contribuito a far crescere e prosperare le pinete.

Biocarburanti

Negli anni novanta le temperature hanno cominciato a salire e le ondate di freddo invernale che tenevano a bada il coleottero sono diventate più rare. "Ora l'insetto può spostarsi più a nord e ad altitudini più elevate", afferma Kurz. Quando il parassita buca la corteccia ed entra nel legno, gli aghi verdi diventano rossi e poi cadono, aumentando il rischio di incendi. Si calcola che finora sono andati perduti oltre 435 milioni di metri cubici di legname. Molte comunità, resort di pesca e parchi si ritrovano in mezzo a foreste morte, che si estendono per centinaia di chilometri.
Le fabbriche di legname sono state incoraggiate a recuperare il legno prima che si decomponga. E cresce l'interesse per la trasformazione degli alberi in biocarburante. Anche se l'idea è molto discussa, secondo Kurz il biocarburante prodotto con le foreste morte permetterebbe di estrarre meno petrolio e gas. "In questo modo il biocarburante non intaccherebbe le scorte alimentari", spiega, riferendosi alle polemiche sull'uso di mais, grano e altre piante per produrre combustibile. "Ovviamente non vogliamo recuperare ogni albero morto", aggiunge, perchè decomponendosi gli alberi nutrono il terreno. "Però credo che serva il dibattito pubblico su come gestire le foreste uccise dal coleottero".

Não Comemos Eucalipto (1 de 2)

Não Comemos Eucalipto (2 de 2)

7 maggio 2010

Beethoven Piano Concerto No 2 Mikhail Pletnev Claudio Abbado


«At heart, I think I’m just a gardener.» « Nel fondo del mio cuore, penso essere solo un giardiniere.» Claudio Abbado in BBC Music Magazine (02/2006)

6 maggio 2010

Eucalipto invade territórios do Sul da Bahia


Eucalipto invade territórios do Sul da Bahia

Entre os dias 19 a 21 de maio, uma equipe formada por oito pessoas representantes das paróquias, do movimento de professores, e da equipe da CPT Sul e Sudoeste da Bahia, esteve fazendo um levantamento nos municípios de Canavieiras e Mascote situados ao sul da Bahia. Constataram um perigo alarmante para as famílias de pequenos agricultores da região: o aumento da atividade da pecuária e do plantio de eucalipto têm levado esses produtores a serem expulsos de suas terras e tem gerado danos ambientais desastrosos.

Localizados no litoral sul, os municípios de Canavieiras e Mascote são banhados pelo rio Pardo e ricos em manguezais. Inseridos na Mata Atlântica, a lavoura cacaueira é a principal atividade econômica da região. Com a “vassoura de bruxa”, praga que assolou os plantios de cacau nos anos 80, este cultivo entrou em decadência e facilitou a entrada da pecuária.

A pecuária, historicamente, é um “abre alas” para as monoculturas depredadoras da soja, cana, eucalipto, entre outros. Pelo menos 70% da população vive desta atividade. No caso da região Sul e Sudoeste do estado é o eucalipto que vem ganhando espaço, invadindo as terras, expulsando as famílias, devastando a Mata Atlântica, acabando com os manguezais, contribuindo para o desaparecimento das inúmeras nascentes próprias deste bioma.

Nas visitas feitas pelas equipes, essas situações foram percebidas de uma maneira ainda mais evidente. No povoado de Perolândia (Canavieiras), alguns moradores falaram sobre o que está acontecendo na região. “Antes tínhamos roças, vendíamos farinha, feijão e verduras, com a chegada das pastarias e do eucalipto, não temos empregos e terras para plantar, não sabemos aonde vamos parar, tudo que comemos temos que comprar”.

Diante da falta de condições de produzir em suas áreas, muitas famílias de pequenos agricultores desassistidos pelos poderes públicos e com assédio de fazendeiros, que fazem ofertas de valores superiores ao de mercado, acabam vendendo suas terras, que são transformadas em eucaliptal. “Queremos uma terra desapropriada, mas apesar da associação que fundamos não estamos encontrando uma propriedade, devido à supervalorização da terra e a concentração por parte dos plantadores de eucalipto”, fala um dos agricultores.

A situação não difere muito nos assentamentos e acampamentos de famílias sem terra, que apesar de serem os “beneficiários” da reforma agrária, não têm créditos para habitação, produção, nem assistência técnica e compartilham da mesma precariedade nas demais políticas públicas. Os acampamentos visitados ainda estão à espera das vistorias, ou medição das terras, que deveria ser efetuada pelo INCRA – Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária, mas que permanece inativo.

Com a expansão do eucalipto na região, houve um aquecimento no preço das terras, o que dificulta ainda mais qualquer desapropriação pelo Estado, além do fato de que esta expansão é em grande parte com recursos do BNDES – Banco Nacional de Desenvolvimento Social.

Outra afirmação dos moradores e também verificada pela equipe, é que o nível de água da região está diminuindo e o desmatamento está aumentando, principalmente após os plantios de eucalipto. Como esse tipo de cultura não tem frutos e causa mortes de outras vegetações, os insetos e animais estão sendo afugentados.

Além das agressões ao meio ambiente e do aumento da concentração de terras, a situação encontrada, principalmente nos povoados, foi de completo abandono, como se pôde constatar em Estica e Hera Nova, distritos de Canavieiras. O Sistema de Saúde é precaríssimo. Na educação, crianças são levadas para a sede do município em transportes inadequados que saem as 4:30h da madrugada em decorrência de estradas esburacadas. Para cobrir a distância de 60km até Canavieiras levam horas e a volta para casa acontece apenas ao findar da tarde. A ausência de transporte público deixa as comunidades isoladas e impossibilitadas de participarem da vida do município.

O Ministério Público percebendo a situação drástica do que está acontecendo na região, iniciou a realização de oficinas e seminários de conscientização da problemática causada pelo monocultivo do eucalipto, como ocorreu no Projeto de Assentamento Nancy. Segundo Valderly da CPT, embora seja louvável esta ação do Ministério Público, mas diante da ganância desmedida com que algumas empresas e fazendeiros vêm atuando na região, faz-se necessário uma ação mais contundente por parte do órgão, no sentido de inibir esta prática e garantir os direitos humanos fundamentais as populações que precisam de terra, trabalho, alimentação, moradia e sobretudo dignidade.

4 maggio 2010

Mario il salvatore di alberi

Morte di un albero



MORTE DI UN ALBERO.
C'era una volta un bell'albero...
Il 20 gennaio del 2009, una conifera che si trovava in un cortile privato, fronte la via De Gasperi a Gorizia, è stata decapitata ed uccisa e squartata poi, nei giorni seguenti.
Non cadente, non intasava grondaie, né caditoie. Piantata in mezzo a un'aiuola, non alzava pavimenti e non dava fastidio a nessuno.
La canzone "Careful with That Axe, Eugene" (album Ummagumma, del 1969) è quella della versione suonata dai Pink Floyd nel 1971 a Sidney, durante il tour australiano di quell'anno.
Il video è visibile alla pagina: http://www.youtube.com/watch?v=c7p8uY...
L'albero presentava alla base un diametro di 90 centimetri circa, 66 al fusto medio e 69 cerchi radiali, a raccontare la sua età, di quando è nato nel 1940.
E' stato abbattuto senza motivo apparente.
Forse per la semplice e bieca comodità dello starsene senza che nulla cresca e quindi del nulla cui dover poi accudire.
Produzione, allestimento e montaggio di Diego Kuzmin e Marco Urdan, in Gorizia nel maggio del 2009.

Il segreto del bosco vecchio



"In certe notti serene, con la luna grande, si fa festa nei boschi. È impossibile stabilire precisamente quando, e non ci sono sintomi appariscenti che ne diano preavviso. Lo si capisce da qualcosa di speciale che in quelle occasioni c'è nell'atmosfera. Molti uomini, la maggioranza anzi, non se ne accorgono mai. Altri invece l'avvertono subito. Non c'è niente da insegnare in proposito. E' questione di sensibilità: alcuni la posseggono di natura; altri non l'avranno mai, e passeranno impassibili, in quelle notti fortunate, lungo le tenebrose foreste, senza neppur sospettare ciò che là dentro succede."
(Nota di Dino Buzzati ne Il segreto del bosco vecchio, 1935)

Nesta nova fase da vida humana conhecemos práticas do passado que não vão dar conta do recado, isto vai modificar profundamente a forma de o homem ver a natureza. A prática predatoria constante que vem ocorrendo tem que ser revista ou estaremos diante de um impasse. O trabalho voluntário que faço nesta parte de São Paulo é um trabalho de cidadania, baseado nas práticas pacíficas de defesa da cultura como um todo, preconizada pelos povos indígenas brasileiros, por Thoreau, por Gandhi e muitos outros pensadores e humanistas. Cada pessoa deste processo participa de acordo com seu potencial próprio e o diálogo acaba se tornando a via final de execução do projeto como um todo. Assim, o vejo como um projeto de paisagem com especies nativas de uma praça urbana, enfrentando todas as mazelas e a falta de cuidado que os orgãos públicos têm em relação aos indivíduos. E isto faz parte de um problema mundial ligado às piores desgraças do mundo moderno, como a fome, a miséria, a guerra, a saúde pública e principalmente a ignorância que ronda as relações internacionais. Quando digo isso, falo porque o Brasil - como detentor de grande parte das florestas que sobraram na Terra, lugares que a suposta civilização ainda não tomou conta - tem a enorme responsabilidade de conservar seus tesouros naturais. O movimento civil de conservação urbana é feito - e isto é muito importante - pelas pessoas que vivem em volta da praça e dada a vivência destas pessoas em relação ao lugar e o seu envolvimento com os problemas que isso acarreta. Outro ponto importante é a escolha das mudas das árvores que serão plantadas, pois elas trarão para a cidade a fauna correspondente. Hoje, depois de 26 anos de atividade do grupo, já aparecem uma dezena de especies comuns e um papagaio verdadeiro, um tucano e duas especies de picapau, o que mostra que começa a ter alimento para estes pássaros.Outra característica importante é a organização do grupo, que tenta sempre agregar as diferentes opiniões que vão surgindo. Tudo isso, e rejeitando a autoria deste processo tão rico, me despeço.

(Rubens Matuck)

http://www.youtube.com/watch?v=AW9So5ky-38